Disturbi Specifici di Apprendimento: come aiutare al meglio il bambino.

Disturbi Specifici di Apprendimento: come aiutare al meglio il bambino.

Quando si utilizza la definizione di “Disturbo specifico di apprendimento” (DSA) ci si riferisce a situazioni in cui al bambino o all’adolescente è stata attribuita una o più delle seguenti difficoltà:

  • Dislessia, si manifesta con una difficoltà nella lettura, in particolare nella decifrazione dei segni linguistici, nella correttezza e rapidità della lettura;
  • Disortografiadifficoltà nella codifica scrittoria ;
  • Discalculia, difficoltà negli automatismi del calcolo e nell’elaborazione dei numeri;
  • Disgrafia, difficoltà nella produzione segnica e nel lasciare traccia.

Nel momento in cui tale diagnosi viene pronunciata, il genitore si ritrova al centro di un vortice di preoccupazione, confusione, ricerca di soluzioni e di una figura che possa aiutare suo figlio e fornire i consigli ed il sostegno di cui gli stessi genitori necessitano. Purtroppo nella nostra esperienza abbiamo dovuto constatare come in alcuni casi le istituzioni scolastiche e le figure che dovrebbero rappresentare un punto di riferimento per i genitori ed il bambino, in realtà siano fonte di ulteriori problemi e confusione. Di seguito è riportata una breve riflessione sulle modalità di approccio a tali disturbi a nostro parere dannose per il benessere dei bambini.

Questo articolo non vuole essere una critica generalizzata all’operato in molti casi lodevole delle istituzioni scolastiche, e neppure intende minare la fiducia del genitore sull’operato di insegnanti illuminati e professionisti qualificati, il nostro obiettivo è consentire ai genitori di fare chiarezza e stabilire dei punti fermi sulla base dei quali attivare le migliori strategie di aiuto e l’approccio più efficace per la serenità del proprio bambino.

Un approccio dannoso è quello che porta a scambiare il bambino per la sua difficoltà, mettendo in luce solo gli aspetti problematici in cui risulta carente. In questo modo si pone il soggetto nello stesso calderone insieme a tanti altri bambini a cui è stata attribuita questa etichetta senza soffermarsi ad approfondire le differenze che li caratterizzano, la loro storia sociale e familiare, le loro modalità espressive, il loro vissuto in termini di affettività e tanti altri fattori essenziali per comprendere a pieno un individuo.

In primo luogo, un simile approccio non permette al bambino di affermare se stesso e le proprie risorse, portandolo anzi ad identificarsi unicamente con la propria carenza, a sentirsi valutato in tutti gli ambiti della propria vita solo sulla base di questa, evitando di esporsi ulteriormente per il timore di sbagliare o di essere giudicato sempre peggio.

In secondo luogo, questa tendenza a considerare unicamente la presenza di una data difficoltà non consente allo specialista stesso di attuare un lavoro completo sul bambino, poiché in esso non viene contemplata un’azione volta a potenziare le risorse del soggetto e la consapevolezza della propria autoefficacia. Fondamentale per la buona evoluzione di ogni bambino è lavorare sulla sua autostima, sulla sua motivazione ad esprimere le proprie potenzialità e ad investire il proprio impegno in tutti gli ambiti di vita.

Altra modalità controproducente che a nostro parere in alcuni casi si riscontra è la volontà, da parte della scuola, di fornire il più precocemente possibile una definizione della difficoltà dimostrata dal bambino. Sembra trattarsi quasi di un bisogno di etichettare e categorizzare più per il mantenimento di un ordine esistente che per fornire un reale aiuto al soggetto in difficoltà. Spesso i bambini sono fin dall’inizio della scuola primaria sottoposti a test di intelligenza e scale di valutazione, che ottengono il risultato di mettere questi piccoli soggetti sotto pressione inutilmente, se consideriamo che solo intorno alla fine del settimo anno di vita il bambino raggiunge la completa maturazione ed evoluzione delle abilità di accesso agli apprendimenti. Si tratta di un percorso di evoluzione e maturazione che si svolge con tempi e modalità strettamente personali, ma che alla fine del settimo anno di vita dovrebbe condurre tutti i bambini, il cui sviluppo sia avvenuto in maniera equilibrata, allo stesso grado di abilità.

E’ per questo inutile nonché fortemente dannoso assecondare questa tendenza ad etichettare e conformare tutti i soggetti che presentano un certa difficoltà, soprattutto nel caso di bambini che non hanno ancora raggiunto la giusta maturazione.

E’ invece auspicabile che si cambi approccio ribaltando il punto di vista con cui ci si relaziona con questi bambini, che sono certamente portatori di una difficoltà, ma che nella maggior parte dei casi hanno tante altre preziose risorse da investire per superarla brillantemente.

La pedagogia clinica offre la possibilità di aiutare il bambino (o l’adolescente) a cui è stato diagnosticato un Disturbo Specifico dell’Apprendimento, mediante l’utilizzo di metodi e tecniche appositamente ideate per mettere in luce le sue risorse e farlo divenire sempre più consapevole di sé, delle proprie abilità, della propria corporeità, ed in questo modo aiutandolo a trovare la giusta motivazione per rimettersi in gioco nel superamento delle proprie difficoltà.

Se sei un genitore ed hai bisogno di maggiori informazioni su questo argomento e sulle strategie di aiuto per tuo figlio, non esitare a contattare lo Studio per un appuntamento, ci conosceremo senza alcun impegno e valuteremo le modalità di intervento più adatte alla vostra situazione.

Commenta il post